mercoledì 14 novembre 2012

Viaggiatori di frontiera



Essendo io un’habituée di viaggi transfrontalieri tra la Lombardia e il Canton Ticino, ho avuto e ho modo di notare parecchie cose che avvengono alla stazione di Chiasso, punto di confine tra i due Stati.
Dieci anni fa (aimé, come vola il tempo, non mi ero mai soffermata a pensare che sono proprio dieci anni…angoscia del tempo che passa…), quando è iniziata la mia avventura a Milano, ogni lunedì prendevo il Cisalpino.
Treno famigerato, tra parentesi, afflitto da problemi tecnici cronici con conseguenti ritardi cronici, moderno solo in apparenza ma scomodissimo, stretto, scomparti bagaglio a misura di puffo, assetto variabile che in certe persone provoca quasi un senso di nausea…per anni abbiamo aspettato i nuovi ETR che avrebbero dovuto prendere il posto del Cisalpino ma dieci anni dopo ancora non li abbiamo avuti, e la sua agonia continua, meno male non lo prendo più.
A Chiasso il treno si fermava sia per il cambio di personale sia per permettere alle guardie di confine, sia svizzere che italiane, di salire a bordo con tanto di cane al seguito per dare un’occhiata ai passeggeri. Mi ricordo di una ragazza, una studentessa, che come me ogni lunedì andava in Italia per frequentare l’università o quello che era. Era una ragazza molto semplice, dall’aria assolutamente innocua, con gli occhiali. Ogni lunedì (capitavo quasi sempre nel suo stesso scompartimento), arrivato alla sua altezza, il cane lupo delle guardie di confine cominciava ad abbaiare come un matto. E allora le facevano aprire la valigia e ispezionavano il tutto, e non trovavano niente. L’ennesima volta che si è ripetuta questa scena, la ragazza ha cominciato a piangere, a dire ai poliziotti, “ma io non ho niente in valigia, sono una bava ragazza, non so perché il cane faccia così!”.
E le guardie a calmarla, a ipotizzare che forse fosse qualche erba o pianta che lei aveva in casa e che la valigia ne portasse l’odore, insomma, cercavano di consolarla vedendola così disperata.
“Ma non lo so, non lo so!” diceva lei tra le lacrime, davanti agli agenti che la osservavano imbarazzati, e che alla fine le consigliarono di cambiare valigia.
Oppure mi ricordo di una guardia di confine che volle esaminare il contenuto della borsetta di una vecchina seduta di fronte a me, ma non degnò di uno sguardo la grande nera custodia di uno strumento musicale (o di qualcos’altro?) riposta nel portabagagli sopra al sedile di un tizio dall’aria losca seduto poco dietro a noi.
O di quel signore che ogni lunedì, puntualmente, si vedeva perquisire la sua borsa e a cui veniva chiesto il passaporto, ogni santo lunedì. Ma non vedevano che era sempre lui? Tra l’altro spesso erano gli stessi che lo controllavano.
O ancora di un padre anziano seduto davanti a me con suo figlio, a cui venne chiesta addirittura la propria agenda e poi venne invitato a scendere. Il figlio ovviamente lo seguì.
Dopo un po’ ritornano tutti e due, e mi ricordo che il vecchio signore disse, ironico:
“Bé, per questa volta San Vittore l’ho evitato”.
Mah. Avevano qualche motivo per sospettare di lui, mi chiedo? O le guardie di confine di Chiasso hanno una certa predisposizione per ficcare il naso negli averi dei passeggeri anziani?
Un’altra mattina si apre la porta dello scompartimento (non eravamo sul Cisalpino, questa volta, ma a bordo di uno di quei treni divisi in scomparti in cui se non ricordo male ci si stava in sei, una roba tipo Orient Express dei poveri), e fa capolino la guardia di turno.
Esibiamo i documenti, come sempre, poi lui chiede:
“Qualcuno di voi viaggia con più di 10.000 euro?”
(perché oltre i 10.000 euro bisogna dichiararli alla dogana)
Noi ci osserviamo con un sorrisetto, e un uomo di fronte a me esclama:
“Magari!”

Da qualche anno per tornare a Milano prendo un regionale espresso, un treno svizzero molto carino, il Tilo. Quando venne introdotto sulla tratta, mi ricordo che i pendolari italiani salivano e si guardavano attorno ammirati. Poveretti, anni e anni di Cisalpino o di regionali decadenti, hai voglia che il Tilo ti appare come la manna dal cielo. E’ in ogni caso un ottimo treno.
Per andare in Svizzera invece salgo su un triste regionale della Trenord, con le porte interne che se non le spingi con due mani non riesci ad aprirle, e occhio a non rimanerci in mezzo mentre cerchi di oltrepassarle con la valigia al seguito. Comunque fa il suo dovere, e date le mie finanze sono anni che mi sono auto declassata ai regionali (che devo dire generalmente sono puntuali, certo, poi succede che il riscaldamento non funzioni e arrivi a Chiasso tipo bastoncino findus, ma alla fine non è che devo viaggiare molto a lungo quindi non mi lamento).

Negli ultimi anni le guardie di confine sul treno si limitano ad un passaggio veloce, in genere non chiedono neanche i documenti né niente.
Quando si arriva a Chiasso e si scende per cambiare treno però sono là schierati, e ti osservano. Provo sempre un certo disagio mentre passo loro davanti. Non sai mai se guardarli, dire buongiorno, ignorarli, boh. Ti chiedi, e se avessi un’aria sospetta? Trasporto spesso le cose più improbabili in valigia. Niente di compromettente o illegale, e certamente non soldi, ma mi darebbe abbastanza fastidio che quelli ficcassero il naso tra le mie cose.
Fortunatamente fino ad ora non hanno ritenuto la mia valigia sospetta, e probabilmente io stessa ho un’aria piuttosto innocente.
E poi le guardie di confine sono troppo occupate a perquisire praticamente ogni persona visibilmente straniera, che contrariamente a me non è libera di transitare senza problemi su quella linea invisibile che separa le due nazioni.
Quante persone di colore, o arabe, ho visto far scendere dal treno, anche in modo abbastanza sbrigativo e supponente, e scortate negli uffici della dogana. A quanti di loro ho visto controllare il documento, utilizzando un ridicolo codice che fa tanto film americano, o dover giustificare anche il più piccolo sacchetto che hanno con sé, e quelle domande, dove vai, da dove vieni, e questo dare del tu che non verrebbe impiegato se quelle persone fossero occidentali.
Questo pregiudizio secondo cui gli “extracomunitari” sono per forza infidi, da tenere d’occhio, esseri umani tendenzialmente peggiori di noi. O almeno questa è la sensazione che ho io, osservando certe scene.

Pensieri, ricordi, legati a quella stazione di confine, e al mio saltuario transitare tra una nazione e l'altra.

Il Tilo sotto le volte della Stazione Centrale di Milano





Chiasso, stazione di confine


martedì 6 novembre 2012

Il dono

Era un giorno d'autunno, dal cielo grigio. Avevo da poco cominciato la prima elementare. Era sabato, credo, oppure un mercoledì che era il giorno in cui al pomeriggio non si andava a scuola.
I miei genitori dovevano andare ad una riunione, così mi portarono a casa dei nonni.
Mi ricordo un mobiletto, nell'atrio, e dentro tanti libri rilegati. Classici, suppongo. Non sapevo leggere, conoscevo solo alcuni rudimenti appresi in quei primi giorni di scuola. I miei genitori, insegnanti anche loro, non avevano voluto insegnarmi prima a leggere, preferendo che imparassi a scuola con la mia maestra.
Non so se l'idea fu mia o del nonno, o di entrambi. Mi ricordo noi due chini su Mary Poppins, e di come le lettere, e poi le parole, e poi le frasi e la punteggiatura, prendevano un senso davanti ai miei occhi, e di come il loro significato si svelava, luminoso, sotto la guida del nonno.
Tutto andava al suo posto con facilità, come un puzzle di cui si riesce a sistemare agilmente tutti i pezzi.
La mia mente che tanta confusione avrebbe sempre fatto con i numeri e con le formule scientifiche, apprese in poco più di un'ora a leggere e a comprendere ciò che leggeva, a fare le giuste pause dettate dalla punteggiatura. Come se fosse qualcosa che avevo già fatto, chissà, in una vita lontana, e che avesse solo bisogno di essere ricordato, riportato alla luce.
Quando i miei genitori vennero a prendermi, sapevo leggere. Da quel pomeriggio lontano quanti libri, romanzi, fiabe, poesie, racconti, fumetti, articoli, hanno nutrito la mia anima, facendomi pensare, ridere, fantasticare, commuovere, e sentire meno sola nello strano cammino che è la vita.

E' stato uno dei doni più preziosi che io abbia mai ricevuto. Nonno, non ti ho mai ringraziato per questo. Non sai come mi piacerebbe, se tu fossi ancora vivo, scriverti per Natale o per il tuo compleanno un biglietto in cui ti parlo di quel giorno e di come non l'abbia mai dimenticato. Solo ora che sono grande ho capito quanto sia stato speciale quel tuo regalo. Ma te ne sei andato tanti anni fa, un pomeriggio di sole, nella casetta di legno che tu stesso avevi costruito, e che c'è ancora, discreto come sei vissuto.

Ho tenuto con cura tutti gli oggetti che hai fatto per me. Il lettino e il seggiolone per le bambole, entrambi in legno dipinto di rosa, la specchiera per le Barbie, così ben fatta che gli fa un baffo a quelle di plastica della Mattel, la casa in cui facevo vivere i Playmobil, con quell'ampia terrazza e le scale di legno che uniscono i vari piani, i trampoli in legno che mi avevi costruito quando mi era venuta questa passione, e poi quella gabbietta sempre in legno per trasportare i miei criceti. Tu sapevi costruire tutto. Spero che un giorno queste cose accompagneranno i giochi dei miei bambini, se ne avrò.

Te ne sei andato troppo presto, nonno. Come mi piacerebbe parlare con te oggi, tu che eri una persona così intelligente e gentile. Un uomo buono. Potremmo metterci a sedere sotto al vecchio ciliegio, davanti alla casetta di legno, a bere una limonata o uno sciroppo di frutta, come quando ero piccola, e ce ne staremmo lì tranquilli a chiacchierare, e ricorderemmo anche quel pomeriggio lontano quando mi regalasti la magia della lettura.



lunedì 5 novembre 2012

Autunno

Ho realizzato questa foto lo scorso anno. Si potrebbe fare meglio, ma dati i mezzi e la location che avevo a disposizione, il risultato non mi dispiace, trovo che abbia una certa armonia.
Mi piacerebbe riuscire a fare una cosa del genere in un bosco, quindi più alberi e più foglie sul terreno...prima o poi...

Un piccolo incubo d'autunno  :-)



domenica 4 novembre 2012

Skyfall

Ieri sono andata a vedere Skyfall, il ventitreesimo episodio della saga di James Bond. Avevo letto ottime recensioni, e devo dire che concordo in pieno con questo giudizio positivo.
Il film si apre con un inseguimento mozzafiato che comincia nel mercato di Istanbul, città dove Bond (incarnato per la terza volta da Daniel Craig) e una sua collega si trovano per recuperare dei files rubati.
La missione non ha esito positivo, tutt'altro, dato che 007 sembra perdere la vita alla fine di questo frenetico inizio di film. Dopo gli splendidi titoli di testa che si snodano sulle note della voce di Adele, scopriamo che l'MI6, i servizi segreti britannici, ed in particolare il loro capo, M (interpretata ancora una volta da Judi Dench), sono sotto attacco. Un misterioso nemico sembra essere disposto a tutto pur di portare alla luce qualcosa di scomodo che si nasconde nel passato di M.
Bond, creduto morto ma in realtà vivo e vegeto, torna in Inghilterra spinto dalla lealtà verso il suo anziano capo, e, benché indebolito dalla ferita subita e da una temporanea dipendenza da alcool e farmaci, torna in campo per difendere M e l'MI6 dal folle Silva (un grandissimo Javier Bardem), assetato di vendetta.
Un film che celebra in grande stile il cinquantesimo anniversario dell'agente segreto più famoso del mondo, forte di una storia avvincente che dosa perfettamente colpi di scena, citazioni alla tradizione bondiana (non frutto di facili ammiccamenti, a mio modo di vedere, ma bensì di un genuino affetto per questa saga cinematografica, sia da parte degli sceneggiatori che del regista Sam Mendes), spettacolari scene d'azione, una raffinata fotografia, e, ultimo ma non ultimo, scava nel passato di Bond, dando ancora più spessore ad un personaggio che a partire da Casinò Royale (2006) ha trovato in Daniel Craig un lato più umano rispetto al passato, smettendo i panni dell'agente supereroe supportato da fantastici super gadgets impegnato a salvare il mondo da folli criminali con un'infinita sete di dominio (penso in particolar modo ai Bond di Roger Moore, che guardo sempre con piacere, proprio per queste loro caratteristiche, ma apprezzo moltissimo la virata compiuta con Craig, che mi sembra un ottimo 007 del nuovo millennio).
Buona parte di Skyfall si svolge in Gran Bretagna, a Londra e poi, per il sorprendente finale, nella brughiera scozzese. James Bond per il suo cinquantenario omaggia dunque la sua patria, l'isola che gli ha dato i natali e a cui è indissolubilmente legato. Ed è in queste vaste lande sovrastate da un cielo plumbeo che scopriremo infine che cosa è lo skyfall del titolo.

Un film che merita senz'altro di essere visto sul grande schermo.