Chi non conosce la celebre marcia di Radetzky, orecchiabile e gagliarda opera che Strauss padre compose per celebrare il maresciallo austro-ungarico?
Da anni, da quando ero bambina, ogni primo gennaio aspetto di sentirla eseguire al concerto di Capodanno di Vienna. Diciamolo, insieme al Bel Danubio Blu, è il clou del concerto, e, mentre riempie baldanzosa l'opulenta sala piena di fiori e d'oro, illuminata dai grandi luccicanti lampadari, non si può non provare il desidero di battere le mani insieme alla ricca platea.
La marcia di Radetzky risuona anche in un bellissimo libro che ho appena finito di leggere, al quale dà anche il titolo.
Scritto da Joseph Roth nel 1932, questo romanzo racconta del declino dell'impero austro-ungarico, il cui rigido dorato impianto è condannato a sgretolarsi con l'avvento di un mondo diverso, fatto di idee nuove, di moti rivoluzionari e di tensioni che sfoceranno nella Grande Guerra.
Un mondo nuovo che prende, con un miscuglio di violenza e di spinta verso il futuro, il posto del vecchio.
Roth ci racconta le vicende di tre generazioni della famiglia Trotta, a partire da Joseph Trotta, che salva la vita dell'allora giovane imperatore Francesco Giuseppe sul campo di battaglia di Solferino. Viene insignito del titolo nobiliare, e la sua impresa aleggerà per sempre, come un'ombra, su suo figlio e su suo nipote. Se il primo diventa un integerrimo capitano distrettuale, dedito al servizio dell'imperatore e per molto tempo cieco alle avvisaglie della decadenza del suo mondo, il secondo, il giovane sottotenente Carl Joseph, vive controvoglia l'impiego nell'esercito, nel quale si sente spesso inadeguato.
Gli sembrano sempre più lontane le domeniche estive nella casa paterna, quando in strada la banda del direttore Nechwal suonava la marcia di Radetzky e sulle sue note Carl Joseph si sentiva pronto a morire per il suo imperatore e per la sua patria. Ora invece vorrebbe solo lasciare tutto e andare a Sipolje, il villaggio sloveno di cui è originaria la sua famiglia, e vivere lì lavorando la terra, libero finalmente dall'ombra di suo nonno, l'eroe di Solferino, il cui ritratto si perde nelle ombre sulla parete dello studio paterno.
Ma Carl Joseph non potrà sfuggire al suo destino di soldato della monarchia, malgrado tutto fa parte di lui, quasi suo malgrado.
E suo padre, il capitano distrettuale, non potrà sopravvivere al suo imperatore, una sorta di suo doppio, la cui lunga esistenza pare essere in qualche modo parallela a quella del signor von Trotta, figlio dell'eroe di Solferino.
E le note della marcia di Radetzky si fanno amare, beffarde, quasi anacronistiche nel caos del disfacimento dell'impero.
Posso dirvi che Joseph Roth era un signore che scriveva meravigliosamente.
Era uno di quegli scrittori con il dono di scrivere fluidamente (e di essere quindi dei narratori puri) e di farlo così bene che ti sembra di respirare il profumo di una giornata d'estate, o di sentire sotto i piedi una strada fangosa, o di percepire nell'aria il temporale che indugia sopra il bosco in una calda serata.
Uno scrittore capace di raccontare la Storia trasmettendone le atmosfere, i profumi, i colori.
" Finalmente ci siamo!" esclamò Chojnicki. "La guerra è arrivata. L'abbiamo aspettata a lungo, eppure ci coglierà di sorpresa. A quanto pare a un Trotta non è concesso di vivere a lungo in libertà. Ho preparato l'uniforme. Nel giro di una o due settimane, credo, saremo chiamati".
Trotta ebbe l'impressione che la natura non fosse mai stata così pacifica come in quel momento. Già si poteva guardare il sole a occhio nudo: calava rapidamente verso occidente, accolto da un vento forte che arricciava le nuvolette bianche nel cielo, ondulava le spighe di grano e frumento sulla terra e carezzava i rossi volti dei papaveri. Un'ombra azzurra fluttuava sui prati verdi. A est il boschetto s'immergeva in un viola nerastro. La piccola casa bianca di Stepanjuk, dove viveva Trotta, risaltava all'estremità del boschetto con le sue finestre accese dalla tenue luce del sole calante. I grilli frinivano con insolita veemenza. Poi il vento portò via le loro voci, vi fu un attimo di silenzio, si percepì il respiro della terra. Di colpo si udì dall'alto, sotto il cielo, un debole, roco garrire. Chojniki alzò la mano.
"Sa cosa sono? Anatre selvatiche! Ci lasciano prima del tempo, è ancora piena estate. Sentono già gli spari. Loro sanno quello che fanno!".
Trotta si avviò lentamente verso le fiammanti finestre della sua casetta.
Joseph Roth, La Marcia di Radetzky
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