mercoledì 1 luglio 2015

Tu, anticiclone

E così è arrivato, lui, l'anticiclone africano, che pare stazionerà sul nostro territorio almeno per i primi dieci giorni di luglio.
Dunque, io detesto gli anticicloni africani con tutte le mie forze, perché sono piuttosto intollerante al caldo intenso, proprio non mi piace, mi abbatte. Quindi per me meno a lungo dura un anticiclone meglio è.
Oltre a questo però mi dà proprio sui nervi tutto il battage dei media sull'arrivo, l'intensità, e la durata, di questi fenomeni.
Da qualche anno televisioni e web si sono proprio scatenati a farti pesare ancora di più la convivenza forzata con l'anticiclone di turno.
Per esempio, per questo che pare si sia installato sulle nostre teste da oggi, sono giorni che ci terrorizzano.
Picchi anche di 39 gradi! La morsa dell'anticlone! Incredibile ondata di calore! Si espande!
E basta!
D'estate fa caldo, da sempre (tranne qualche anno eccezionale).
Insomma, io ricordo che da bambina e da ragazzina, quando vivevo alle porte di Lugano, faceva un caldo bestiale. Anche di sera. Mi ricordo questo calore che perdurava anche una volta che il sole era calato. Oppure quando si tornava dalle vacanze, che in genere trascorrevamo in posti più freschi, lo schock termico del rientro.
O i pomeriggi nel terreno di mia nonna, che se non passavi regolarmente sotto la doccia da giardino ti arrostivi.
Cioè, era proprio caldo.
Ma a mio ricordo non era ancora scoppiata questa moda di flagellarti psicologicamente con vita morte e miracoli dell'anticiclone di turno battezzato pure con qualche nome da guerra psicologica tipo Caronte, Scipione, Hannibal eccetera.
Bhè, ora abbiamo Flegetonte (piacere, Flegetonte), e ce lo teniamo.

Un anticlone in azione!

Caro Flegetonte, cercherò non dico di arrivare a volerti bene, ma quantomeno di tollerarti al meglio.
Vado di infradito, bibite fresche, pantaloncini e canottiere, insalate di riso, di ventilatore che quando alla sera mi sdraio sul letto mi sembra di essere Martin Sheen all'inizio di Apocalypse Now.
E poi mi capita di pensare ai Tropici, alle storie che ho letto ambientate laggiù, di Conrad soprattutto, e penso che il clima là dev'essere praticamente questo.
E niente, resisto, come tutti.
Ma se sento ancora una parola sull'anticlone Flegetonte cambio canale.

venerdì 29 maggio 2015

De André, le sue canzoni, e un libro che vale la pena leggere

In questi giorni sto rileggendo un libro che è in mio possesso già da diversi anni, ma che da tempo non tornavo a sfogliare. Si tratta di "Fabrizio de André raccontato da Massimo Bubola - Doppio lungo addio", edito da Aliberti Editore.
Un libro che consiglio a tutti coloro che amano l'opera di de André, perché si parla di lui e della genesi delle numerose canzoni scritte con Massimo Bubola, meraviglioso scrittore di canzoni lui stesso e persona estremamente intelligente e colta.
Tra le pagine del libro si dipana la lunga intervista a Bubola, che ci racconta della sua collaborazione con Fabrizio, spiega il suo punto di vista sulle canzoni scritte insieme, e racconta anche di se stesso, e dell'affascinante processo dello scrivere canzoni, e di come esse nascano dalle passioni, dalla curiosità, dalla dedizione e dall'impegno.
Una persona, Massimo Bubola, che mi pare abbia davvero molto da insegnare, da trasmettere.

Riguardo a de André, lo ascolto praticamente da sempre. Mi sono imbattuta nella sua voce già da bambina, perché in casa c'erano dei suoi dischi.
Ho cominciato ad ascoltarlo allora, e anche se non capivo il significato di molte delle cose che cantava (e non è che oggi le capisca tutte), amavo la sua voce, le sue parole, il modo che aveva di narrare delle storie, di evocare personaggi, luoghi, emozioni.
Quando è morto, tutti hanno cominciato ad ascoltare le sue canzoni, improvvisamente un sacco di gente si è scoperta sua fan.
Io posso dire di averlo amato da sempre, e che le sue canzoni accompagnano, e accompagneranno, costantemente la mia vita.







lunedì 25 maggio 2015

Luoghi del cuore: Canton Grigioni

Ho sempre amato le montagne. Forse perché sono svizzera, e benché sia nata e cresciuta nel sud del paese, in Ticino, alle porte di Lugano, il paesaggio alpino ha sempre fatto parte del mio immaginario e del mio cuore.
Tra i molti bellissimi luoghi che compongono il territorio montano elvetico, ve ne è uno che amo in modo particolare, e che visito ogni estate: il Canton Grigioni.
Dico sempre che in un futuro mi piacerebbe andarci a vivere.
Amo questo Cantone perché racchiude in sé molte anime. Innanzitutto tre lingue, tedesco, italiano e romancio, uno strano idioma che suona come un miscuglio degli altri due, buffo e affascinante insieme. 
Nei nomi dei comuni e dei luoghi echeggia la poesia di questo connubio di idiomi: Maloja, Disentis, Vicosoprano, la Via Mala, Coltura, Castelmur, Samedan, Sils, Silvaplana, Promontogno.
Passi, antiche vie che attraversano le montagne, abbazie, piccoli tranquilli paesini adagiati lungo la strada, foreste, gole nascoste.
Ma anche il glamour e gli eventi internazionali, sportivi ed economici, che si svolgono a Davos e a San Moritz, probabilmente i luoghi più noti all'estero di questo territorio.

Per me però il vero spirito di questo Cantone va cercato appunto nei nomi poetici dei suoi comuni; nella bellezza composta di Palazzo Castelmur, un vero luogo di meraviglie, una casa dei sogni, con i suoi pavimenti in legno, le carte da parati, la grande sala con la luce che entra a fiotti dalle ampie finestre; nel vento che soffia sull'azzurro lago di Silvaplana colorato da decine di kite surfers che nella bella stagione si sfidano sulle sue acque; nell'aria frizzante del passo del San Bernardino, fatto di roccia, erba verde e cielo; nella storia ricca di artisti nati in questa terra, come Giacometti, nativo della Bregaglia, e che di certo hanno portato sempre con sé la magia di questi luoghi; la profonda, oscura gola della Via Mala, che incute timore oggi come un tempo, rimasta intatta nella sua bellezza selvaggia; nell'antico Hotel Bregaglia, lungo la strada che scende verso l'Italia e Chiavenna; in quella vecchia splendida casa a Promontogno, con il suo giardino pieno di rose, che diffondono tutto intorno il loro profumo.

Sarebbe bello essere lì ora, affacciata a quel vecchio ponte di pietra vicino al mulino, la carezza del sole, la promessa dell'estate, e le fitte foreste attraversate da un soffio di vento, che sussurra i segreti di quella terra incantata.

Palazzo Castelmur fotografato da me qualche estate fa









venerdì 9 gennaio 2015

Esperienze

Oggi sono andata per conto di G. , che aveva un altro impegno, dal medico che ha lo studio nella piazzetta per fargli apportare una correzione su un'impegnativa.
Arrivo nella piazzetta cinque minuti prima dell'orario di apertura dell'ambulatorio.
Freddo pazzesco. Alla faccia del clima più mite che avevano preannunciato per questi giorni. Fidandomi di queste previsioni mi sono vestita più leggera. Risultato, stavo surgelando. Fortuna che almeno i guanti li avevo messi, anche se come sempre d'inverno le mani erano gelate comunque.
Quindi eccomi davanti al portone, surgelata, io e un vecchietto, abbastanza surgelato pure lui.
Vengo a sapere che è lì per farsi prescrivere dei farmaci per il diabete.
Ad un certo punto mi fa: "Vede quel signore là?"
Guardo nella direzione che mi indica, e vedo un uomo anziano che si dirige verso la nostra direzione.
"E' il padre del medico" mi informa il vecchietto.
"Ah" faccio io educatamente.
"Viene a scrivere le ricette. Si mette lì e scrive le ricette."
"Ah?" faccio ancora io.
"Pensi, ha già novant'anni ma scrive ancora le ricette".
" Ma era medico pure lui?" faccio io a questo punto.
"No, no".
"Ah".
A questo punto il novantenne padre del medico nonché redattore di ricette ci raggiunge. Educati saluti. Ci apre il portone e finalmente io e il vecchietto ci possiamo scongelare nell'androne e poi proseguire lo scongelamento nella saletta d'attesa lì al piano terra.
Mi siedo, e il vecchietto pure, di fronte a me.
Mentre lui si toglie il cappotto, mettendo in mostra un maglione di lana verde bottiglia super accollato, bretelle, panzona, pantaloni marroni, che lui si solleva uno per volta fino al ginocchio per tirarsi su le calze, il padre del medico apre un tavolino pieghevole, ci sistema sopra penne, cancellino,  e ovviamente i moduli per le ricette, poi ci guarda e chiede:
"Qualcuno ha bisogno di una ricetta?"
Educato diniego da parte di entrambi.
Quindi il padre del medico sfodera da qualche meandro un giornale, e passa almeno un minuto a spiegarlo e piegarlo attentamente, con movimenti che sanno di lunga pratica.
Infine si mette a leggere.
Entra un altro paziente, apparentemente novantenne pure lui.
"Ha bisogno di una ricetta?"
"No, no, grazie" risponde il nuovo venuto, accomodandosi.
Così eccoci lì, io e quei tre, nella saletta con la luce fioca, senza finestre, le sedie allineate contro la parete, l'uomo delle ricette al suo tavolino pieghevole, il pavimento di cotto.
Non so perché mi ricordava una saletta d'attesa in qualche sperduto ambulatorio in Sud America.

Intanto, che faceva il medico, nello studio adiacente?
La porta era aperta, dunque potevo udire chiaramente la conversazione che il dottore stava avendo al telefono. Doveva spedire qualcosa tramite il computer, attraverso qualche modulo presente in qualche sito se ho ben afferrato, ma non stava avendo molto successo.
L'interlocutore all'altro capo del filo dava delle istruzioni, che il medico ripeteva, eseguendole.
"Ma la finestra la chiudo con quella x in alto?" sento chiedere a un certo punto.
Alzo quasi involontariamente gli occhi al cielo. Direi che saper chiudere una finestra sullo schermo di un computer tramite "quella x in alto" fa parte dell'abc dell'utilizzatore di pc.
Che persone surreali popolano questo posto, mi viene da pensare.
Finalmente la telefonata del medico si conclude, senza successo, ma a quanto ho capito lo avrebbero ricontattato per sistemare la cosa.
Così sono la prima ad entrare nello studio. In quattro e quattr'otto la modifica che occorre a G. viene apportata, ringrazio, saluto, torno nella saletta d'attesa in penombra, saluto anche lì ed esco nella piazzetta.
Mentre tornavo in studio dove Basilio lo shih tzu mi aspettava, il vecchietto certamente parlava col medico del suo diabete, e nella saletta piena d'ombra il dispensatore di ricette continuava a leggere il suo giornale, in attesa di poter dispensare i suoi servigi dal suo tavolino pieghevole.





martedì 1 ottobre 2013

Amarcord

Oggi pomeriggio ho fatto un dolce e divertentissimo salto nel passato, grazie alla mostra di cui vedete qui sotto la locandina.



Ma chi sono i Ronfi? Se siete stati lettori del Corriere dei Piccoli negli anni '80 e primi anni '90 penso che non possiate averli dimenticati.
Per tutti gli altri, sappiate che i Ronfi vivono nel bosco, e sono animaletti pigrissimi dalla pelliccia rossiccia, che si nutrono di legno dolce. Nella vita non fanno altro se non appunto nutrirsi di legno e soprattutto dormire. E poi si cacciano spesso in qualche guaio, dal quale riescono sempre provvidenzialmente a uscire.
Sono nati dalla fantasia di Adriano Carnevali, il quale descrive i suoi piccoli roditori in questo modo:

" I Ronfi sono dei veri e propri "disadattati della natura" (che farebbero l'infelicità di un Konrad Lorenz): infatti sono pigri (come dice il loro nome), piuttosto sciocchini e, per di più, presuntuosi e saccenti. Il "Ronfo-tipo" non sa orientarsi, è incapace di difendersi dai pericoli del bosco, non possiede ben chiaro il senso del mutare delle stagioni ecc...; deve la propria miracolosa sopravvivenza soltanto all'aiuto di altri animali generosi o, più frequentemente, a una sfacciata fortuna. Le avventure dei Ronfi sono imperniate soprattutto sui guai che queste disastrose bestiole combinano. "



Io adoravo i Ronfi da bambina, e li adoro adesso che li ho riscoperti grazie a questa mostra. Non che li abbia mai dimenticati, del resto.
Come non ho mai dimenticato il Corriere dei Piccoli, che ricevevo ogni settimana e mi ricordo che ero felice il giorno in cui lo trovavo nella cassetta della posta (mia zia mi aveva regalato l'abbonamento), e lo leggevo a pranzo, tra una forchettata e l'altra, prima di tornare a scuola.
Era veramente un bel giornale, pieno di cose ben fatte e interessanti, con autori di qualità, come Adriano Carnevali, appunto, ma anche Grazia Nidasio (la sua Stefi merita senz'altro un post a parte), e tutta la redazione.
Quanti bei ricordi! 
Ho ancora tutti i numeri in cantina, impilati con ordine. 
Quando mi ci cade l'occhio provo sempre un misto di gratitudine e nostalgia. Gratitudine perché era davvero un ottimo prodotto per bambini e ragazzini, e in qualche modo quella filosofia di vita l'ho portata con me; e nostalgia per quei tempi ormai lontani, in cui la mia più grande sciagura erano le mie croniche difficoltà in matematica. Ma a parte questo, quanto era bello essere bambini? 

Spero che anche i bambini di oggi e di domani abbiano l'opportunità di avere un giornalino così bello e intelligente, che li possa sollevare dal piattume dell'attuale offerta (almeno, questa è la mia impressione).

A questo proposito esiste una pubblicazione molto carina, curata proprio da Carnevali, dal titolo Giocolandia, di cui ho preso un numero alla mostra. Contiene alcune storie dei Ronfi, e tanti giochi divertenti e intelligenti per non lasciare abbrutire i bambini  :-)

La mostra è aperta fino al 6 ottobre allo Spazio Wow di Milano. Oltre a diverse tavole super divertenti, vi è esposto anche un villaggio dei Ronfi in scala, più vari ronf cimeli, tipo un dente da latte di un piccolo Ronfo, la campanella che usano per svegliarsi dal letargo (ma senza batacchio), un pezzo di legno con il segno del loro morso, un calco del loro piede, e altre cose  :-)













martedì 3 settembre 2013

Aspettando Monza

Ad un certo punto del 2012 apprendo una notizia che a confronto la profezia dei Maya faceva ridere. Ovvero, Sky aveva acquistato i diritti per la messa in onda della Formula1, portandola via alla RAI.
 La mia reazione, non avendo io Sky, e non avendo nessuna intenzione di farmi un abbonamento per vedere un solo programma (sia per questioni economiche che di principio), è stata: aaaaarrrggghhh! Maledettiiii!!!
Perché io amo le corse di Formula1. Perché sono uno dei miei ansiolitici. Perché il Mondiale mi appassiona e perché in un'altra vita mi piacerebbe fare la team manager di una scuderia :-)
E Sky se lo sgraffigna.
Insomma, depressione.

La realtà per fortuna non è stata così nera. Ovvero, alla RAI hanno lasciato 9 gran premi da trasmettere in diretta (alcuni già trasmessi), mentre gli altri 11 (sigh) vanno in differita. Meglio che niente. Certo non è il massimo riuscire a passare buona parte della domenica senza venire a sapere in anticipo il risultato della gara, ma tant'è.
Inoltre alcuni week-end sono in Svizzera, e posso seguire le gare su TSI2 (che purtroppo a Milano non si prende, manco fossimo all'altro capo del mondo).
In sostanza, riesco comunque a seguire il Mondiale.



Che anche quest'anno pare poter finire abbastanza facilmente nelle mani di Sebastian Vettel, il quale, dopo essere diventato campione del mondo per tre volte consecutivamente nelle ultime tre stagioni, è attualmente in testa e sulla sua Red Bull è semplicemente il grande favorito.
La Ferrari, con Fernando Alonso (perché Felipe Massa ormai pare perso per strada, e non da quest'anno, e in qualche modo viene quasi sempre risucchiato indietro durante la gara, o, come avvenuto ultimamente, si autoelimina con assurdi incidenti), cerca di non perdere troppo terreno, ma pare vivere, rispetto all'inizio della stagione, una preoccupante involuzione, almeno fino al Gran Premio d'Ungheria. Due settimane fa, a Spa, la Ferrari è parsa invece piuttosto in forma, anche se nulla ha potuto il buon Fernando sull'arrembante Vettel, che ha disputato una delle sue ormai classiche gare in testa. Parte e va e chi lo prende più. Sarà la Red Bull, sarà il geniale ingegnere Adrian Newey che l'ha progettata, sarà il pilota tedesco che sa guidare in modo perfetto questa monoposto.
Io ci provo a gufarlo (per carità, non gli auguro nulla di grave, intendiamoci, però qualche gufatina gliela faccio perché ammetto che mi sta leggermente antipatico), ma niente.
Quando parte in pole, o riesce a passare in testa, addio, in genere non ce n'è per nessuno.

Io tifo soprattutto per Kimi Raikkonen, ma temo che la sua Lotus (con i problemi finanziari che si ritrova e che non si capisce se riuscirà a risolvere completamente) in questa seconda parte di stagione sarà meno competitiva perché non riuscirà a portare, a quanto sembra, molti nuovi sviluppi, e dunque pare destinata a perdere terreno. Peccato perché Iceman fino a poco tempo fa era secondo nel mondiale piloti, dietro a Vettel. Ora secondo è tornato Alonso, separato dal leader da 46 punti.

Si arriva dunque a Monza, il prossimo weekend, in questa situazione.
Sabato sarò all'autodromo per la giornata delle qualifiche. Spero che qualcuno riesca almeno a strappare  la pole position a Vettel (guferò perché ciò avvenga, eh eh eh)   :-)

Qui la mia raccolta di immagini di Formula1 su Pinterest





















mercoledì 28 agosto 2013

Lasciando andare agosto

Dopo eoni (o almeno questa è la mia impressione) torno a scrivere qui.
Le vacanze le ho archiviate stamattina rientrando a Milano. Sono sempre felice di tornare in quella che è diventata la mia seconda casa. Ma allo stesso tempo è un po' triste lasciarsi alle spalle le spensierate pigre giornate estive fatte di letture, gite, strenue partite ad adorabili giochini scaricati dall'App Store (vogliamo parlare della mia dipendenza da Pou, Piante contro Zombie, Temple Run, o Candy Crush?), ma anche attività più nobili come la fotografia (esperimenti di ritorno alla pellicola, tra la piccola plasticosa Diana con i suoi rullini 120, e il mio grande amore analogico, la Polaroid, che torna a vivere grazie alle pellicole Impossible, che emozione quando ho caricato la macchina dopo tanto tempo, e pazienza se le foto hanno una certa dominante gialla e il pacchetto costa 20 euro, ha sempre qualcosa di magico).
In realtà non abbandono nulla di tutto questo, soprattutto la fotografia che è il mio lavoro (pur se costretto in studio e sottoforma di still-life), ma quando si è in vacanza, non c'è bisogno che ve lo dica, tutto ha un altro sapore.

Di questo agosto porterò con me la meraviglia del Lago Maggiore e delle sue isole, veri paradisi in terra pieni di fiori e antichi tesori; l'adorato, caratteristico rumore che fa la polaroid quando esce dalla macchina e l'attesa di vedere emergere l'immagine nell'emulsione; la bellezza composta di palazzo Castelmur, adagiato tra le montagne del Canton Grigioni (qui le foto con cui ho cercato di raccontare questo luogo incantevole); il lago di Silvaplana, sempre nei Grigioni, che pare uscito da una cartolina; la visita al Museo Casa Enzo Ferrari a Modena, che anche se fuori c'erano 40 gradi ne valeva la pena, per tutte le splendide monoposto lì riunite, vera goduria per un'appassionata di Formula1; gli ottimi racconti da brivido contenuti in The Chtulhu Mythos Mega Pack, uno dei migliori acquisti che abbia fatto grazie al Kindle (se amate Lovecraft procuratevelo); e quell'indefinibile malinconia estiva che ho sempre avuto, ma che ho imparato con gli anni a percepire con affetto.